Pen Druid – Jennings – Sperryville, VA – 2021

Sono venuto a conoscenza di questo di birrificio anni fa, quando, per trovare degli spunti durante la creazione di Cantina Errante, stavo stalkerando su Instagram i migliori produttori di birre acide/spontanee/naturali che c’erano in giro nel mondo in quel momento, sicuramente gente che ne sapeva molto più di me, ma soprattutto che aveva molta più esperienza.

L’ attitude di Pen Druid e l’hype che li precede mi avevano sempre attirato, ma i più di 5’000km di distanza da casa e l’impossibilità di prendere un volo, dovuto alla recente situazione sanitaria e coercitiva mondiale non mi hanno mai fatto neanche interessare su quale dei 51 stati avesse posato le sue fondamenta quel bucolico birrificio super.

Fatto sta che parlottando del fatto che stessi per raggiungere la mia ragazza negli Stati Uniti con il mio fratello di birra Jack (Giacomo Pazzi – Assistente birraio a Cantina Errante), è venuto fuori che il Pen Druid si trovasse nella campagna sperduta della Virginia, guarda caso proprio lo stato in cui mi stavo dirigendo. Grande!

Tornato a casa da lavoro scrivo subito una mail al birrificio, annunciandomi come blogger, ma anche come Headbrewer di Cantina Errante, e mettendo in allegato anche il mio curriculum (non si sa mai). Mi risponde dopo poche ore Jennings Carney, Headbrewer e uno dei tre fratelli proprietari, e in un modo molto aperto e Rock&Roll mi invita a fargli visita non appena avessi messo piede nel nuovo mondo. Non a caso la risposta fu rockettara, infatti, i tre fratelli, oltre al birrificio, hanno in comune anche una band di psycho-rock chiamata Pontiak, con cui nei decenni passati hanno girato in lungo e in largo anche l’Europa. In un certo qual modo è proprio viaggiando nel continente europeo in tournée che hanno assaggiato (e scolato) migliaia di bottiglie di birra, di fatto tracciando il loro futuro birrario.

Un sabato di dicembre arriviamo (io e ragazza al seguito) a Sperryville, cittadina minuscola (c.ca 300 abitanti) alle porte dello Shenandoah National Park e a pochi chilometri da uno dei trekking più lunghi, duri e famosi al mondo, l’Appalachian’s Trail.

Il birrificio sorge su una collinetta in mezzo ad una vallata con niente se non campi e foreste intorno. Sulla strada che si avvicina alla cittadina e al birrificio, ci sono una miriade di produttori di vino e sidro, e le correlate produzioni di soprattutto mele, uva, ma anche di altri frutti di vario genere. Per non parlare del numero dei birrifici, il tutto completamente inaspettato, sembra una Toscana americana.

Per essere in mezzo al nulla, il parcheggio era bello intasato, ma ce lo avevano detto; questa parte dello stato è presa d’assalto dai ricchi “venturieri” delle grandi città vicine (Washington DC, Baltimora ecc.), che nel fine settimana provano a riconnettersi con la natura, dopo aver passato, molto probabilmente, tutta la settimana a rendere il mondo un posto peggiore. Infatti, avevamo provato pure io e la mia dolce metà a prenotare un B&B nel quale proseguire la nostra giornata all’insegna dell’alcolismo (qua sono poco permissivi quando si parla di bere e guidare), ma la più economica si aggirava sui 400$ e faceva pure pena ad essere sincero.

Ci avviciniamo al birrificio e ad accoglierci c’è proprio Jennings! Ci offre subito due birre (una spontanea con i lamponi ed una con uva bianca) e ci chiede se siamo affamati, e noi lo siamo, come sempre. Allora, non perdendo tempo, ci incamminiamo nella zona dietro al birrificio, dove già da lontano avvistiamo qualcosa di simile ad un “food-truck”, chiamato Sumac. L’ho messo tra virgolette perché, sembra un food-truck, ma in realtà, leggendo il menù, sentendo le spiegazioni di Jennings ed infine assaggiando i piatti, è più un ristorante di alto livello che fa solo asporto. Il cuoco, infatti, prima di aprire questo ristorante mobile aveva lavorato per qualche anno in un ristorante 3 stelle Michelen a Washington DC. Io ordino una Cider Steamed Mussels (un bagnetto di cozze al Pen Druid Cider con prosciutto, cipolle, rape verdi e focaccia), mentre Heather una Shrimp & White Beans Soup (zuppa di gamberi sfumate con Brandy della Viriginia, fagioli bianchi e brodetto di finocchio e pomodoro), e ci mettiamo a chiacchiera in uno dei tavoli nel prato di fronte al birrificio.

Parlando viene fuori che l’ex-moglie di Jennings è di Livorno! Quanto è piccolo il mondo.

Rispolverando il suo italiano a suon di boia dè” ci racconta che il birrificio è in piedi da circa 6 anni e che si sono recentemente spostati da una struttura li vicino, sempre nella proprietà, costruendosi durante lo scorso lockdown il loro angolo di paradiso.

Il birrificio è circondato da circa 30 acri di terra a loro destinati per le varie coltivazioni di frutta (tutte varietà americane), che andranno a completare il progetto nei prossimi anni. Ho detto circa 30 acri a loro destinati, perché fanno parte della vecchia azienda agricole di famiglia di più di 700 acri, chiamata proprio Pen Druid.

Dopo il pranzo delizioso offerto da Jennings, “siete miei ospiti!” ha controbattuto alla mia timida mossa di tirare fuori il portafoglio, iniziamo realmente a parlare di birra, filosofie produttive, materie prime e roba da birrai.

Hanno un impianto da 10bbL (barrels), che corrispondono a circa 15/16 HL, a fiamma diretta, molto spartano, ma la cosa che li contraddistingue è sicuramente il fatto di avere l’impianto all’aperto! Sì, fuori. E loro, come la maggior parte dei birrifici che fanno spontanee, producono soprattutto d’inverno. Alla mia scettica domanda su come potesse birrificare quando nevica e ci sono –tot°C, lui mi ha risposto con eccitazione, che sono i suoi giorni preferiti:

non ti puoi immaginare cosa sia fare la birra qua fuori mentre nevica e tutto è in silenzio. Verso gennaio e febbraio, se vuoi, puoi venire quando facciamo cotta.Con fottuto piacere fratello! Non vedo l’ora!

Dopo avermi mostrato la altrettanto rudimentale coolship ed il mio ingenuo tentativo da Tecnologo Alimentare (italiano) di capire, come, l’Igiene Pubblica permettesse l’utilizzo di tutta quella attrezzatura all’esterno del sito di produzione, non seguita da alcuna risposta se non una leggera strizzatura di occhi e smorfia sul viso da parte sua (della serie “di che cazzo stai a parlà?”), ci accompagnò in cantina, perché iniziava pure a fare freddo.

Prima cosa appena entrati ha aperto una bottiglia di Spiritual Plums (spontanea da 7.5% con 13 mesi di macerazione sulle prugne), e capisco subito il perché, è grandiosa! Assaggiando le sue birre e rendendomi conto di quanto fossi fortunato a fare quella esperienza, gli dico che in Italia, ma anche in Europa, è praticamente impossibile trovare le sue creazioni, e lui mi risponde che, con una produzione così piccola, non vede il motivo di esportare, anche se gli piacerebbe l’idea. Io invece gli confido che, utopicamente parlando, preferirei di gran lunga assaggiare e bere le creazioni dei birrifici solamente nel loro luogo di produzione, soprattutto per produzioni naturali del genere. Questi sono prodotti altamente vitali e legati al territorio dove nascono. Hanno letteralmente miliardi di abitanti microscopici, che, se allontanati dalla propria casa, dalle proprie routine, e dalla propria atmosfera, reagiscono come un qualsiasi altro essere vivente strappato dal proprio eco-sistema, sono spaesati e a disagio, quindi, renderanno sicuramente meno.

Degustando quella primizia alle prugne, ci spiega che la cantina è divisa in due, da una parte vino e sidro, e dall’altra le birre, pulite e non.

Vi confido due cose: la prima è che non avevo neanche idea che facessero anche birre “pulite”, e la seconda è che mi aspettavo più botti, più grandi, più quantità, insomma, più americanità. Pregiudizio sbagliato. Ma non è una cosa negativa il fatto di essere stato sbugiardato in quel modo, anzi! Adoro l’idea che un unico individuo in produzione (Jennings), con così poco spazio ed attrezzature riesca a fare tutto quel lavoro e in quel modo. Ti ammiro fratello!

Nel parlare, confrontandosi sui metodi produttivi e poi di fatti totalmente non legati al mondo della birra, rilassati dall’annaffiatura da parte di qualche bicchiere di alcol, Jennings inizia ad aprire bottiglie come se fossimo ad una rimpatriata tra amici, chiedendoci addirittura a noi quali bottiglie volessimo assaggiare. Di seguito la lista delle produzioni che abbiamo avuto la fortuna di assaggiare (o meglio, bere! I bicchieri serviti da Jennings sono sempre generosi):

  1. Spontaneous Raspeberry (Spontanea con lamponi)
  2. On Vidal Blanc (Spontanea con uva)
  3. Spiritual Plums (Spontanea con prugne)
  4. Cider (Sidro spontaneo)
  5. Cerise Surprise (spontanea con ciliegie)
  6. Golden Swan (Farmhouse)
  7. Jupiter (Wild Double IPA + Honey)
  8. Flat Cider (sidro spontaneo piatto)

Dopo tutte queste bevute mi sono pure ricordato di lasciargli la bottiglia di mia produzione che gli avevo portato, una Detour Riserva Ramasin 2020 di Cantina Errante, una bella bottiglia, ma sinceramente mi sono sentito un po’ in difetto dopo tutto quello che ci ha fatto vivere in questa giornata. Ma come ha detto lui, è proprio questo il bello del nostro mondo, e un giorno gli renderò il favore.

Grazie ancora Jennings

Spero di rivederti presto

 

Tom

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    Comments (2)

    • Angelo Ruggiero

      Wow…che meraviglia che hai scovato. Favoloso l’impianto all’aperto…da non credere.

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