Gli stili birrari

Salve a tutti/e,

ciò che leggerete oggi, sarà un’introduzione al mondo dei famosi stili birrari. Questo è un concetto abbastanza recente, pensando che la birra ha migliaia di anni, infatti, fu inventato dal grande esperto e scrittore birrario Michael Jackson negli anni 70’. Grazie alla sua meticolosa ricerca delle diverse tipologie di birra provenienti dalle tradizioni di tutto il mondo, è riuscito a catalogarle e racchiuderle nella sua bibbia, “The world guide of beer”, del 1977. 

Questa classificazione piena di regole ben definite e severe, è sì utile per regolamentare i vari concorsi di degustazione birrai o per assegnare premi, ma il suo reale e ben più nobile scopo sarebbe quello di permettere a qualsiasi bevitore di birra di poter capire all’istante che tipo di birra aspettarsi se è assegnata ad una certa categoria di stili birrari. 

E dato che io sono nobile d’animo e dei concorsi e premi non mi interessa, cercherò di darvi una mano nel giostrarvi in questo enorme numero di tipologie di birre così diverse tra loro.

Di seguito vi elencherò quali sono le caratteristiche della birra su cui si articola uno stile e che vi potranno dare una mano a discriminarle:

  • Tipologia di fermentazione – esistono 3 grandi categorie di stili, e questi sono divisi in base alla tipologia di fermentazione. Ci sono le Ale (alta fermentazione), le Lager (bassa fermentazione) e quelle a fermentazione spontanea. 
  • Colore – è una caratteristica molto selettiva e facile da imparare. È dovuta alle tipologie e alle singole quantità dei malti e grani utilizzati, più precisamente dei malti speciali, ovvero di quei grani che hanno subito un processo di tostatura o di lavorazione che ne modifica il colore. A seconda di che malti vengono utilizzati e della loro quantità in ricetta, si può avere un ampio spettro di colori a disposizione. 

Ogni stile ha un range di colore permesso, che viene misurato in EBC (European Brewing Convention) o SRM (Standard Research Method), ma questo a noi interessa solo parzialmente, magari quando diventeremo abbastanza esperti. 

In più ci possono essere anche dei colori donati dagli ingredienti secondari utilizzati nella produzione, pensate ai colori che possono acquisire le birre con l’aggiunta di frutta per esempio (ciliegie, more, mirtilli ecc.). 

  • Gradazione alcolica – può essere utile nello scegliere uno stile, dato che non sempre siamo dell’umore giusto di tracannarci una birra da 10°C, invece a volte fa proprio al caso nostro. Quindi per esempio, quando qualcuno ci parla di Tripel o di Barley wine, sappiamo che stiamo parlando di stili che hanno alcolicità elevate. Anche in questo caso, abbiamo a che fare con range specifici per ciascuno stile. 
  • Aromi primari – sono quelli donati direttamente dalle materie prime, quindi dai malti, luppoli o altri ingredienti. Per esempio, analizzando i malti, a seconda del processo hanno subito e della quantità utilizzata, possono donare aromi che vanno dal caramellato, al bruciato, alla cioccolata, al miele, e così via. I luppoli, allo stesso modo, a seconda della varietà utilizzata e della quantità, si andranno a definire, aromi che possono andare dalla frutta tropicale, alle spezie, al terroso, al limone, e così via. 
  • Aromi secondari – questi invece sono aromi non creati direttamente dalla materia prima, ma da un processo appunto secondario, cioè sono sottoprodotti del metabolismo dei lieviti e batteri. Infatti, esistono stili che sono altamente definiti da questi aromi, come per esempio le Weisse, nelle quali, l’aroma di banana non è dovuto all’aggiunta del frutto, ma solo al ceppo di lievito che le fermenta. 
  • Aromi indesiderati – ci sono degli aromi che in alcuni stili sono ammessi, ma in altri no, ed in altri sono solo tollerati. Prendiamo per esempio il diacetile, una molecola che sa di burro, se lo trovassimo in una pils tedesca sarebbe un difetto gustativo, mentre nelle pils ceche è tollerato. 
  • Mouthfeel – è un termine inglese per definire le “sensazioni boccali”, sta ad indicare principalmente il corpo della birra, dato che possono esistere stili che sono tradizionalmente molto secchi e per così dire, facili da bere, mentre altri che sono molto pastosi e pieni. 
  • Livello di carbonazione – rappresenta la quantità di bolle presente nella birra, infatti possiamo andare da alcuni stili inglesi che hanno una leggera frizzantezza, a dei veri e propri champagne! 
  • Grado di amaro – anche se l’amaro è possibile che derivi sia dai luppoli che dai malti scuri, nella classificazione degli stili definiamo solo quello riferito ai primi. Infatti, tutti gli stili hanno un range di grado di amarezza, che viene calcolato “grossolanamente” con gli IBU (International Bitterness Unit). 
  • Provenienza – in alcuni casi, ci si prefissa di limitare l’utilizzo solo di ingredienti provenienti da certe zone della terra, per definire un certo stile, come per esempio le APA (American Pale Ale), le quali possono essere fatte solo utilizzando luppoli americani. 

So che sono stato un po’ didascalico e che la maggior parte di voi non sarà arrivata a questo punto, ma questo articolo vi potrà far capire in base a quali fattori vengono suddivisi gli stili birrari. Nelle prossime puntate vi cercherò di aiutare a riconoscere i singoli stili birrari. 

Quindi con un po’ di impegno, e di studio/esperienza, potrete riconoscere uno di questi fottuti stili anche solo a sentirlo nominare. Potrete entrare in un pub e chiedere:

Voi: “ehi che birra avete alla spina?”

Il ragazzo dietro alle spine: “abbiamo una dry stout e una session IPA”

Voi: “no, le birre scure proprio non le reggo, damme n’IPA man!”

E così potrete velocemente scalare le gerarchie dei peggiori pub delle vostre città.

Ora andate a studiare, capre!

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