Cos’è la Mindfulness
Anche qui mi tocca usare una parola anglofona, lo so, a volte sono proprio uno yankee. Ma non è colpa mia! Sto parlando di una tecnica ben precisa e questo è il suo unico nome, quindi non rompete.
Il termine mindfulness significa letteralmente “consapevolezza”, e nessun’altra, se non questa parola può spiegare al meglio quale sia la sua essenza. Questo termine fu coniato verso la fine degli anni 70’ da un certo Jon Kabat-Zinn, autore di diversi libri sull’argomento e inventore di alcune terapie psicologiche basate su questa tecnica.
Lui è quindi, uno dei pionieri che in quegli anni ha provato ad essere il veicolo di questa conoscenza, trasportandola dal mondo orientale a quello occidentale. Infatti, fino a quel periodo, la nostra società non era guidata dalle regole della globalizzazione, ed esistevano poche personalità che si spingevano ai confini del mondo per studiare, ma soprattutto per mettere in pratica le conoscenze di altre culture così diverse dalla nostra.
È una tecnica meditativa che è stata concepita per essere un “ponte” tra l’oriente e l’occidente.
© sportsandthemind
Jon, per quanto fosse stato rivoluzionario, però non inventò un bel niente, rese solo fruibile questa conoscenza secolare ad un pubblico occidentale. Capì subito, che questa tecnica di meditazione poteva essere di grande aiuto a chiunque, indifferentemente dalla religione o provenienza geografica o dal proprio bagaglio culturale, insomma, una panacea spirituale.
Ho detto che, lui personalmente non ha “inventato” questa tecnica, perché alla base della mindfulness c’è l’intuizione che illuminò 2500 anni fa un certo Buddha, non so se lo conoscete.
Il concetto fondamentale che scoprì il famoso guru era che, per non essere più dei miserabili, per riuscire ad affrontare ed accettare la sofferenza di questa vita, bastasse concentrare la propria attenzione sulle sensazioni del corpo nel momento presente. In altre parole, riuscire ad utilizzare la propria volontà per decidere, in ogni istante, verso cosa orientare la propria consapevolezza, ed arrivare quindi a vivere il presente.
Riuscire di fatto ad addomesticare la mente ed usarla come strumento di indagine della realtà, non essere dominati da quest’ultima. Più facile a dirsi che a farsi (aggiungo io), ma sicuramente la strada è quella giusta.
Per fare questo, il Buddha, insegnava dei metodi pratici per progredire su questa evoluzione, ma come ho detto prima, fino perlomeno agli anni 70’ del secolo scorso, fu appannaggio solo dei monaci che vivevano nei monasteri in Asia.
Rimase così a lungo fuori dalla portata di noi occidentali anche perché, essendo, la meditazione, una tecnica trascendentalista orientale, fu inventata e costruita sulle loro qualità intellettive e specifiche particolarità spirituali, che sono, neanche a spiegarvelo, molto diverse dalle nostre.
Riuscire di fatto ad addomesticare la mente ed usarla come strumento di indagine della realtà, non essere dominati da quest’ultima.
Non dico, e non ho mai pensato, che siano migliori delle tecniche spirituali di casa nostra, dico solamente che sono diverse e fatte su misura per i loro processi intellettivi e che si sono di fatto sviluppate con loro. Infatti, storicamente, le nostre società hanno differito sotto molti punti di vista, alcuni dei quali importanti e basilari, come per esempio i metodi di indagine della realtà:
Noi scienza, loro spiritualità.
Noi esteriorità, loro interiorità.
Jon, durante la rivoluzione socio-culturale dei suoi anni, capì che era proprio questo divario che non permetteva a questa cura di diffondersi nel mondo occidentale. Era come chiedere ad un indù di pregare Gesù per uscire dalla sofferenza, o chiedere ad un cristiano di pregare Shiva; non sarebbe stato facile, anzi, praticamente impossibile.
Quindi, se il contesto culturale, dove la tecnica era nata, veniva eliminato o limitato, e venivano affiancati ad essa degli studi scientifici che provavano la sua efficacia, i pregiudizi in merito sarebbero caduti; e così fu.
Era uno strumento troppo importante per renderlo disponibile solo ad una piccola percentuale degli esseri umani.
Viviamo la maggior parte della nostra vita in modalità auto-pilota.
Ma, allora, in cosa consiste effettivamente questa benedetta mindfulness?
Altrimenti sembra uno di quelli articoli che parlano parlano, e poi alla fine, ti chiedono di pagare 39.99€ per avere un DVD dove ti viene spiegato il segreto dei templari.
Questa tecnica, come ho accennato prima, è un modo di allenare la propria attenzione. Addomesticare la propria mente per poter decidere, volontariamente, in ogni momento, a cosa pensare, o se pensare, di fatto diventando padroni di noi stessi, del nostro momento, della nostra vita.
Non so se ve ne siete mai accorti ma viviamo la maggior parte della nostra vita in modalità auto-pilota. Sicuramente vi è successo di “dimenticare” come avete fatto a fare un certo tratto di strada guidando. Eravate in modalità auto-pilota, ovvero la vostra mente, che si stava annoiando, vi ha portato a pensare al passato o al futuro, distogliendo la vostra attenzione da quello che stavate effettivamente facendo.
È un meccanismo naturale della mente, che si è sviluppato nel corso della nostra evoluzione. È molto utile, perché ci consente, una volta acquisita una certa capacità, di poterci dedicare ad altro, e sicuramente ha accelerato la nostra evoluzione, ma è ridicolmente dannoso per quanto riguarda la nostra salute mentale. Infatti, il fatto di non viversi il momento presente, non solo ci esclude personalmente dalla nostra vita, in quanto questo momento è l’unico davvero importante, ma ci crea anche uno stato di ansia perenne, se non gestito.
Quindi, il succo sta nell’impegnarsi a tornare a vivere il momento presente, e capire che la mente si annoia facilmente, quindi, lotterà con tutte le sue forze per ottenere la vostra attenzione.
Come il corpo, come il cervello, anche la mente però si può allenare.
Per farlo, ci sono degli esercizi pratici, che potete trovare in svariati libri (come Mindfulnees On The Go, di cui potete leggere la mia recensione) o corsi, e sono proprio quello di cui parla la mindfulness.
Per farvi qualche esempio, vi sarà chiesto di:
- Concentrare la vostra attenzione su quello che state facendo mentre state mangiando, senza essere “intrattenuti”, guardando Netflix o Amazon prime video.
- Utilizzare la mano non dominante per fare delle azioni di routine, come per esempio lavarsi i denti.
- Essere consapevoli di ogni volta che ci mettiamo a sedere o cambiamo posizione.
Possono sembrare degli esercizi futili e addirittura troppo semplici, ma vi assicuro che non lo sono affatto. Siamo così imbambolati e abituati ad essere trascinati dalla mente, con la nostra attenzione che viene stuprata in continuazione dai vari media, che in realtà richiederà un sacco di fatica e tempo per tornare ad essere padroni di sé stessi se mai ci riusciremo.
Con costanza e disciplina, vedrete di quanto poco vi stavate davvero vivendo la vita e di quante energie stavate sprecando a fare previsioni sul futuro o a rimpiangere il passato.
La mindfulness invece, o la meditazione in generale, insegnano proprio questo, a lasciare andare.
Sicuramente questo lavoro e questa intuizione, sta portando ad una evoluzione culturale e spirituale nel nostro mondo, ma mi riservo la facoltà di criticarne almeno un aspetto:
noi occidentali, proprio per la nostra forma mentis, vogliamo rendere scientifica una cosa che in realtà non lo è, che è molto più vicina al “vecchio modo di pensare”, una cosa che più che alla scienza è forse più vicina alla fede e al mondo spirituale, ma come sempre, noi scettici vogliamo che tutto sia testato, provato e validato; siamo troppo legati al nostro ego per poterci lasciare andare.
La mindfulness invece, o la meditazione in generale, insegnano proprio questo, a lasciare andare. Per farlo, per arrivare a quel punto, per vedere i famosi “risultati” dobbiamo fare molta pratica, e per fare molta pratica, giornaliera, ci vuole disciplina. Quest’ultima, o si decide fermamente di svilupparla ed allenarla o viene imposta, non ci sono molte altre possibilità, non si può comprare la disciplina. Dato che al giorno d’oggi però, nell’avanzata società delle libertà, è molto difficile imporre qualsiasi cosa senza cadere nel giudizio negativo di chiunque possa mettere bocca, rimane solamente la volontà soggettiva a poter decidere se fare o meno quel passo, appunto del credere nella pratica, del non aspettarsi risultati immediati, della fede, fondamentalmente. Un cane che si morde la coda:
lasciarsi andare per imparare a lasciare andare.
Mi dispiace ragazzi ma è così, il primo passo (e non solo quello), è totalmente “al buio”, fidatevi dell’istinto, e di qualche vostro mentore, o libro, e vedrete che una volta che vi “dimenticherete” del perché lo state facendo o di chiedervi se ne valga realmente la pena è quando comincerete a comprendere realmente come funziona.
Lo sentirete, fisicamente, e allora il viaggio salirà di livello.
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