Sidro acido con pesche – Collaborazione Winchester Ciderworks

Introduzione

Dopo il primo incontro con Stephen è scattata una scintilla. Vuoi perché è un tifoso sfegatato del Chelsea (e io sono stato nel mondo del pallone per quasi 25 anni), vuoi perché è un tremendo pieno di tatuaggi, vuoi perché siamo due mezzi immigrati in terra straniera, vuoi perché ha assaggiato le birre che facevo a Cantina Errante o vuoi perché lui di fattore APNSP ne ha da vendere, ma abbiamo subito deciso di fare qualcosa insieme. Aveva bisogno di produrre un sidro acido con frutta per un distributore del mercato inglese, che fosse appunto acido (cosa che ne so abbastanza), che fosse riproducibile e costante dato che gli ordini sarebbero stati belli grossi (qualche idea su come fare l’avevo, grazie alle lauree in Tecnologie Alimentari); quindi mi ha chiesto una mano e per un amico si fa questo e altro.

Prima cosa da scegliere era il tipo di frutta che si prestasse ad entrare in simbiosi con un sidro di mele come i suoi. Non ce la fo, è più forte di me, per me certe produzioni non devono essere solo efficaci, economiche, buone dal punto di organolettico, per me devono essere logiche, devono avere un senso da ogni punto di vista.

“Che tipi di frutta coltivate qua intorno?”

“Qua dietro producono pesche..”

“Ok, pensavo fosse più difficile da decidere, pesche sia!”


La frutta era decisa, ora dovevamo decidere il come, perché, quando, dove ecc.. Dato che il prodotto deve essere facilmente replicabile direi di facilitarci la vita e togliere di mezzo la variabile sidro. Come? Scegliendo come base il suo sidro base, che è buonissimo, replicabile ed un’ottima tela su cui lavorare. Problema. Non è acido. Per ovviare a questo problema penso che una soluzione intelligente potrebbe essere quella di acidificare le pesche a parte e poi blendarle a piacimento, così da poter decidere a piacimento l’acidità/flavour apportato dal frutto. Non l’ho mai fatto, non ho mai letto niente sulle pesche in particolare, ma in teoria è fattibile. 

Se funziona abbiamo quello che volevamo!

Materiali e metodi

Anche se non è il metodo di acidificazione che mi piace usare, ovvero quello di inoculare le “bustine” di batteri lattici selezionati, per l’obiettivo che abbiamo in mente è l’unica soluzione intelligente. Decido di provare due ceppi diversi di batteri lattici per vedere quali funzionano meglio su questo frutto – Lactobacillus brevis e Lactobacillus Plantarum. In più, ho voluto mettere tra le variabili anche l’aggiunta di sale, dato che è un metodo tradizionalmente utilizzato per selezionare i batteri lattici e per difendersi dai microorganismi patogeni – guardate alle Gose (uno stile di birra) o molto più semplicemente all’infinito numero di prodotti fermentati da lattobacilli (crauti, cetriolini ecc.). 

Dato che era febbraio e le pesche non sono proprio di stagione ho consigliato di comprare della frutta congelata, così da avere (per le prove) un prodotto standard e sicuramente non contaminato. Unico dubbio era che avessero dei conservanti all’interno, che avrebbero inibito la crescita dei nostri batteri, mi sono premurato per questo di fargli comprare le più “naturali” possibile.

Quindi quello di cui avevamo bisogno era:

  • Lactobacillus brevis (50mL – liquido)
  • Lactobacillus plantarum (4g – secco)
  • Pesche congelate (5kg)
  • Sale (26g)
  • Sidro
  • 4 x contenitori. di plastica scura da 1Gal (2L meglio)
  • Guanti 
  • Chimici per pulire attrezzatura
  • Bilancia
  • pHmetro

Il nostro esperimento sarebbe stato formato quindi da 4 prove, determinate dalle nostre variabili in gioco:

  1. Lactobacillus brevis (25mL di lievito liquido/1.25kg pesche)
  2. Lactobacillus brevis (25mL di lievito liquido/1.25kg pesche) + 1% Sale non-iodato.
  3. Lactobacillus plantarum (mL di lievito liquido/1.25kg pesche)
  4. Lactobacillus plantarum (mL di lievito liquido/1.25kg pesche) +1% Sale non-iodato

I campioni sono stati messi in contenitori di plastica da 1Gallone (circa 4L), non proprio ideale per quanto riguarda il contatto con l’ossigeno e lo spazio di testa, ma abbiamo saturato con azoto sia prima che dopo che durante, e incrociato le dita. Dopo tutto non siamo in un laboratorio e nemmeno alla Heineken. 

Come ho scelto la quantità di inoculo (lievito)? Leggendo sulle bustine e su internet e quelle quantità sembravano le più idonee. Quanto sale? Rifacendomi ai libri di Sandor Katz, e a passate esperienze. É un esperimento che è completo e statisticamente significativo? NOPERDIO! Ma a noi non interessa fare lo studio del secolo, solo avere un riscontro preliminare per vedere se le mie idee avevano fondamento. 

Procedimento

Dopo aver scongelato le pesche (che erano già sbucciate e a pezzi) immergendole in acqua calda, le ho schiacciate il più possibile a mano (con mani pulite) e messe in due secchi (anche quelli puliti!). Le ho divise in due, rispettivamente 2.5kg in ciascuno, così da poter inoculare le due tipologie di batteri. Una volta aver mescolato bene ed aspettato una decina di minuti ho prelevato la metà del contenuto da ogni secchio e dopo aver saturato con azoto, ho riempito rispettivamente due bottiglie di plastica (campione A e C). alle pesche rimaste nei secchi ho aggiunto il sale, mescolato bene e riempito le ultime bottiglie (campione B e D). 

Prese le bottiglie, dopo averle saturate ancora una volta, le ho messe nella cella a temperatura controllata (in ufficio accanto l termosifone con delle coperte hahah), e messe a riposare aspettando il verdetto.  

Risultati e Conclusioni

Dopo una settimana a circa 40°C e con un pH iniziale di 3.9 avevamo i primi risultati:

  1. 3.88 —> Brevis senza sale
  2. 3.49 —> Brevis con sale
  3. 3.48 —> Plantarum senza sale
  4. 3.24 —> Plantarum con sale

Come primo screening abbiamo avuto dei risultati molto interessanti e soddisfacenti. Vediamo subito che l’intuizione di aggiungere anche solo un pò di sale era giusta. In entrambi i campioni con l’aggiunta vediamo un abbassamento del pH significativo e dato che il nostro obiettivo era quello di raggiungere il pH più basso possibile, siamo sulla direzione giusta. 

Dato che non abbiamo troppa fretta, aspettando la stagione delle pesche, ho suggerito di  lasciare una parte gli esperimenti ad evolvere per vedere se nel tempo possono portare altre modificazioni, sia dal punto di vista dell’acidità che organoletticamente parlando. 

Invece abbiamo provato a prelevare dal campione D delle quantità per unire a due sidri base diversi, con una percentuale del 20% di pesche acide (campioni D1 e D2), vedremo i risultati tra un pò. 

Si può acidificare e fermentare praticamente qualsiasi cosa (e sinceramente anche in modo naturale, senza bisogno di bustine)! Non vi fate fermare dalle regole, sperimentate!

E se avete qualche idea e bisogno di una mano chiedete pure.

Un abbraccio

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